Il fair play come strumento di deterrenza contro la televisione-spazzatura

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L’urlo in televisione, negli ultimi anni, ha rappresentato l’ingrediente principale della spietata ricetta che serve ai canali generalisti per incrementare l’ascolto e, di conseguenza, l’appeal per raccogliere maggiore pubblicità (in un tempo in cui l’advertising digitale ha irreversibilmente sorpassato, in quanto a investimenti, quello tradizionale). La ricetta prevede l’uso di offese e pretese, minacce e parolacce, conflitti tra avversari politici, l’invito di personaggi a dir poco singolari dalla spiccata vocazione al fake, e così via. Si teme che questa spirale sia destinata ad avvilupparsi ulteriormente, proprio perché il raggiungimento di livelli successivi rialza la posta del conseguente sensazionalismo. In verità, appare chiaro come il verdetto di questi scontri in tv sia quasi sempre destinato a designare un sostanziale pareggio tra perdenti: la semplice partecipazione a questi programmi non è dignitosa e deprime, secondo il nostro parere, l’onorabilità di tutti coloro che vi prendono parte, buoni o cattivi che siano. Il compianto Riccardo Pazzaglia, rilevando la sua inadeguatezza nel partecipare a conversazioni televisive surreali in “Quelli della notte”, si limitava – muovendo il palmo della mano verso il pavimento – a indicare il livello davvero basso della discussione, suscitando la complice ilarità dei personaggi presenti, e del pubblico a casa.

Eppure, proprio mentre la televisione-spazzatura parrebbe imporsi come modello unico di attrazione dell’interesse popolare (e dei ricavi pubblicitari), un piccolo drappello di coraggiosi conduttori televisivi si insinua tra le pieghe dell’improperio gratuito, e propone un percorso morale alternativo, talvolta scanzonato ma non per questo debole, basato sull’educazione e sul garbo: in poche parole, il fair play.

Nella sua striscia quotidiana “Il Caffè” di qualche giorno fa, Massimo Gramellini esordisce con “Risparmiamoci le tiritere sulla violenza degli ultrà che non c’entra niente col calcio”; come dire: rinuncio a priori al clamore che un argomento “trendy”, trito e ritrito, mi aiuterebbe certamente a generare. Ma non è che un esempio. Gramellini – che ormai occupa due fasce più che dignitose della programmazione del canale TV La7 (il sabato e la domenica alle 20.35) – gira col lanternino tra i vicoletti delle storie italiane minori, alla ricerca di nobili comportamenti ed esemplari personalità. Non è buonismo; piuttosto, è ricerca di un percorso lieve, sostenibile realmente, alternativo al rumore del nulla cosmico. Il risultato che ne consegue è un senso di appagamento che spesso suscita riflessioni di emulazione. Dunque, non sempre è necessario ricorrere alla catarsi per sentirsi e fare bene.

Uno stile basato sul fair play è altamente contagioso; ci si augura pertanto che, non troppo lontano, compaiano altri fautori del garbo e detrattori dell’inutile disaccordo.

Angelo Tarantino